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venerdì 25 marzo 2011

Un difensore civico ante litteram


Leggo sul sito internet del Touring Club di un'antica usanza genovese: una sorta di "difensore civico" ante litteram. Noi eravamo uno dei pochi comuni a contemplare tale figura. Purtroppo ora ne siamo privi.
Trattandosi per di più di carica onorifica, forse sarebbe bello istituirla nuovamente (o aggiornare il sito internet comunale).



Nella parete a sinistra – all’interno dell’atrio di Palazzo Ducale, lato Piazza De Ferrari - incuriosisce una sorta di “buca postale” in marmo, recante la dicitura:

AVVISI AGL’ILL.MI SUPREMI SINDICATORI

Ma chi erano, dunque, i “sindicatori”?

Si trattava in verità di 5 cittadini che ogni quattro anni venivano prescelti tra i rappresentanti del Minor Consiglio ed erano deputati appunto a “sindicare” sull’attività dei magistrati, dei governatori e degli amministratori locali.
L’istituzione e l’allestimento del manufatto di cui si tratta, risalirebbe alla fine del sedicesimo secolo, ma il suo utilizzo vero e proprio risalirebbe invece al secolo diciottesimo, epoca in cui i genovesi mantenendo l’anonimato o dichiarandosi, indirizzavano al Doge e agli amministratori della città denunce, segnalazioni, suggerimenti, lamentele o quanto altro volessero portare a loro conoscenza.
I testi delle comunicazioni venivano scritti sui cosiddetti “biglietti di calice” e questa definizione è riconducibile ad una semplice circostanza di ordine pratico: infatti, all’interno della buca utilizzata da chi aveva scritto i biglietti, era sistemato – per raccogliere questi ultimi – per l’appunto un “calice” dal quale i destinatari delle varie comunicazioni, estraevano i “biglietti” a loro indirizzati.
Pare che i contenuti dei vari messaggi fossero i più disparati:
- una buona parte si riferiva talora al vero e proprio pettegolezzo;
- c’era poi chi “puntava il dito” su chi vendeva a “borsa nera” e faceva scommesse, attività quest’ultima che - all’epoca - insieme ai giochi pericolosi, era molto biasimata;
- c’era chi si lamentava per l’arroganza di alcuni nobili e chi invece protestava contro coloro che - giocando nei vicoli del centro storico - arrecava danni all’arredo urbano e disturbo alla quiete pubblica.
Pare si leggesse persino di proteste di mariti che facevano riferimento a mogli spendaccione le quali con la compulsività delle loro spese esagerate, rischiavano di mandare in rovina i loro stessi coniugi che addirittura temevano di non poter più disporre dei denari per… pagare le tasse!
E ancora le lamentele si riferivano alla presenza delle “graziose” che “infastidiscono” la “maschile gioventù” sottraendola al “bene della Repubblica e alle arti sociali”, senza dimenticare ovviamente le non rare “offese al pudore” che secondo molti soggetti, venivano arrecate in occasione di spettacoli di teatro e di danza.
Insomma, a fronte di tutte le intriganti diavolerie tecnologiche che oggi si pongono a supporto e al servizio della odierna comunicazione tra gli umani, quella sorta di “buca postale” in marmo ancora oggi visibile a Palazzo Ducale in Genova, si pone – a mio avviso – ai nostri occhi (e a qualche cuore) come l’ineffabile, antesignana, attestazione di…un’ancestrale modernità!

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