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martedì 2 febbraio 2010

Turismo, ma quale ?

Nei tanti (troppi) convegni, nelle interviste, nei programmi elettorali si fa un gran parlare di vocazione turistica del nostro territorio. Turistica e basta. Ma cosa vuol dire ? Qual'è il target di ospiti che ci interessa ? Siamo coscienti che non esiste la possibilità di richiamare tutti e di essere per tutti appetibili ? Credo che prima di qualsiasi azione concreta, sia il caso di chiarirsi le idee.
Riporto un contributo trovato su internet. Mi sembra interessante leggerlo.

Verso il turismo locale?
Scritto da Stefano Landi
1. LA CRISI DI UN MODELLO
Di questi tempi si sente molto parlare di crisi, e magari anche di crisi del turismo, salvo poi essere smentiti dai fatti, come è successo ad esempio per l’inverno che anche grazie alla tanta neve è stata una stagione eccezionale.
Colpisce molto vedere le Associazioni di categoria stilare un programma di richieste che sembrano riferite ad un settore sull’orlo del baratro: ognuno fa il suo mestiere, e le Associazioni per prime, ma sinceramente non ce le vediamo proprio le Agenzie in cassa integrazione o i Tour Operator costretti a dilazionare gli oneri sociali, “perché i turisti non viaggiano più”.
Crediamo si tratti di qualcosa di altro, e che tocchi anche a noi capirlo e dirlo, e magari anche prefigurare una via di uscita, un punto di caduta.

2. I DUE MERCATI
Il mercato turistico, come ha detto anche l’Assessore Guido Pasi con grande lucidità alla Conferenza dell’Emilia Romagna il 2 dicembre 2008 (il suo prezioso intervento lo trovate negli articoli della webzine alla categorie “cose belle”), si sta ormai divaricando in (almeno) due diversi mercati.
2.1. Da una parte c’è un mercato di massa, che si può definire tale non solo per i numeri ma soprattutto per i caratteri di standardizzazione. Un mercato in cui si è sviluppata l’intermediazione “industriale”, che ha definito i propri modelli di business sui grandi numeri: almeno una “catena” di charter, almeno una linea di pullman, almeno una grande quantità di ricettivo omogeneo.
Questo mercato è in riduzione, e probabilmente in crisi irreversibile:
• vuoi per effetto della crisi congiunturale che fa rincorrere sempre il prezzo più basso
• vuoi per l’esasperata concorrenza di tutti gli operatori sugli stessi prodotti
• ma soprattutto, a nostro parere, per l’esaurimento strutturale della spinta della domanda verso prodotti stereotipati, verso sistemazioni sempre più omologate, verso luoghi in progressiva perdita dell’identità, che stanno tutti diventando “non luoghi”.

2.2. Ma questo mercato non è l’unico: ce n’è un altro, in crescita, ancora in cerca di definizione, di identità, anche di un nome.
Alcuni lo chiamano mercato dei viaggiatori (contrapposti ai turisti), altri della qualità (contrapposta alla quantità); Pasi lo chiama “turismo della libertà”, riferendosi alla possibilità di scelta libera, alla ricerca di luoghi “veri”. Certo si affianca al primo senza necessariamente sostituirlo, e non è necessariamente composto da altri consumatori: si può fare un giorno una scelta, e il giorno dopo quella opposta, con grande e serena incoerenza ed infedeltà.

E’ un mercato a forte connotazione valoriale, che cerca esperienze memorabili, identità locali, autenticità, cultura locale fatta di vissuto e di quotidiano, piuttosto che non di vestigia ereditate, alla faccia dei templari della “Cultura”.

Ma questo mercato è difficilmente organizzabile:

• è fatto di piccoli numeri, al limite di singoli individui, rifugge l’intruppamento;
• è fatto di scelte, cerca di muoversi tra le righe già scritte, pretende le opzioni;
• è una domanda reale e consistente, che non trova risposte strutturate,

e allora si auto-organizza, sulla base delle esperienze dirette e del passaparola, non solo grazie ad internet, ma anche a partire dalla oggettiva innovatività del ricettivo,

• che ha saputo andare alla ricerca delle nicchie e dei segmenti, magari anche piccolissimi (fino al “segment-of-one marketing);
• che ha saputo, anche fuori dalle leggi, proporre una ricettività non convenzionale ormai esplosa;
• che fa delle motivazioni e delle nicchie, dei piccoli numeri il proprio pane quotidiano,
• e che quindi si attrezza a lavorare in proporzione molto di più sul contatto che non sulla prestazione del servizio.

Niente di questo è avvenuto nell’intermediazione, il cui modello di business resta inchiodato ai grandi numeri, e che anzi sembra orientarsi verso la crescita dimensionale infinita, oppure verso la serializzazione delle debolezze, in cerca di economie di agglomerazione negli acquisti, nei sistemi, nella promozione.

3. L’ANALOGIA ALIMENTARE E DEL LARGO CONSUMO

Le analogie più forti sono con l’agro-alimentare ed in genere con il largo consumo, in cui il punto di svolta è già avvenuto: la Grande Distribuzione Organizzata e le reti di franchising sono già il leader e vanno incontro alle esigenze del mercato di massa; fanno produrre per sé, in qualunque posto del Mondo, prodotti con affidabilità massima e prezzo minimo:
• contrabbandando l’affidabilità per qualità;
• coprendo l’assenza di sapore con la manipolazione genetica o con le spezie come in un libro di fantascienza degli anni sessanta;
• combattendosi quotidianamente a colpi di “primo prezzo”, non importa se effettivo o civetta;
• e usando spregiudicatamente il sottocosto come leva di attrazione del cliente;
• ma anche retrocedendo sui produttori lo schiacciamento dei costi e la leva finanziaria con un chiara filosofia di irresponsabilità.

Per converso si è sviluppato il secondo mercato, che ha tante facce spesso tra loro intrecciate e non ha un solo nome, che risponde ad esigenze di gusto e di valori, il senso di appartenenza al territorio come quello di solidarietà planetaria, che sfiora l’edonismo da un lato, il leghismo dall’altro, la responsabilità marxista e quella cristiana, il terzomondismo e la beneficienza, fino all’appartenenza di branco e all’ansia di auto-rappresentazione ed identificazione in una tribù di consumo.

Ci sono infatti:
• le DOC-DOP e le condotte del gusto di slow -food
• le reti biologiche e quelle solidali (Fair trade, Commercio Equo, ecc.)
• i farmers market e i Gruppi di Acquisto Solidali
• i prodotti delle squadre di calcio e quelli della Fiat e della Ducati
• la linea Lifegate e, chissà, quella neo-nazi
• la linea griffata e quella volutamente e snobisticamente anonima
• l’approccio salutista e quello chimico-dopato-culturista
• le nuove mille tendenze etniche, trainate dalle tante diverse etnie dei nuovi italiani, ma non solo
• per non parlare delle linee confessionali, vecchie e nuove, fino a Scientology e ai “fagiolini”
• e così via.

Spesso ognuna di queste pulsioni si ritrova in un solo luogo, diverso da caso a caso: un “concept store”, che prende di volta in volta nomi e forme diverse; altre volte permea di sé le reti commerciali del mercato di massa, prendendo la forma di corner, “shop in the shop”, ecc.

4. CHE FORMA PRENDERA’ IL “SECONDO MERCATO” NEL TURISMO ?

Se è relativamente facile diagnosticare e prevedere un ulteriore declino del mercato di massa governato dai tour operator “tradizionali”, non è però facile capire se il punto di caduta sarà:

• la disintermediazione, con il ritorno al rapporto individuale con i singoli produttori (come se tutti andassero a fare la spesa in campagna, o sui siti dei contadini)
• una ripresa di protagonismo dei produttori che risalgono la catena distributiva (come se il turismo si vendesse dal camioncino con l’altoparlante sotto casa, o a tutti i cittadini arrivassero le mail della Pensione Sorriso)
• una assunzione di ruolo da parte dei consumatori che si strutturano in gruppi di acquisto e vanno a cercare il meglio a prezzi convenienti (i GAS nel turismo, magari sotto forma di social network)
• la formalizzazione di legami stabili tra comunità di consumatori e di produttori (i “cittadini” che “adottano” un luogo, lo aiutano ad organizzarsi, magari ne acquistano quote o porzioni e poi ci vanno in vacanza)
• nuove realtà di territori (come i GAL) o di produttori che costruiscono prodotti territoriali e che vanno a cercarsi acquirenti sulla base di prossimità territoriali e/o affinità valoriali.

A questo crediamo valga la pena di riflettere e lavorare, se davvero ci sta a cuore il nostro futuro.

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