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sabato 18 giugno 2011

I cinghiali in Oltrepò


Pochi giorni or sono il giornale La Provincia dava notizia dell'ennesimo incidente che ha avuto come protagonisti un cighiale ed un'auto. Troppi cinghiali nella nostra zona ? Costituiscono una minaccia per la circolazione e per l'agricoltura ? Eccesso di velocità dell'auto che ha impedito un pieno controllo del mezzo nella situazione improvvisa ? Cosa possono fare le amministrazioni comunali e provinciali ?
Il problema è complesso, molto.
Questo il parere della LAC, la Lega Anti Caccia:


Cinghiali e uomini. Una convivenza possibile.

Sulle pagine dei quotidiani locali sono sempre più diffuse le notizie di incidenti stradali che vedono coinvolti fauna selvatica, in particolare cinghiali, e automobilisti.
Peccato che tali cronache si limitino a registrare l’evento, senza nessuna analisi né approfondimento del problema.
Innanzitutto, è lecito chiedersi da dove vengano questi cinghiali e perché siano ‘ritornati’ sul territorio oltrepadano, dopo anni di estinzione.
Se è vero che agli inizi del ‘900 alcuni soggetti ricomparvero nell’Italia del Nord-Ovest, provenienti dalla Francia, a partire dagli anni ’60 e sino ad oggi si è verificata una vera ‘esplosione’ dei capi presenti su tutto il territorio nazionale, a causa, soprattutto, di sconsiderate e abusive immissioni clandestine, per alimentare la pratica venatoria.
La caccia al cinghiale, dunque, oggi presentata come una delle misure più efficaci per contrastare la presenza massiccia di questa specie selvatica, è, in realtà, la causa principale della situazione, resa critica dalle continue e mai interrotte immissioni di nuovi esemplari.
Solo in questo modo, infatti, i cinghiali mantengono quella consistenza numerica che autorizza, appunto, la caccia quale forma di contenimento.
Un paradosso, certo, ma che aiuta a comprendere anche la presenza sul territorio italiano di numerosi allevamenti di cinghiali. A che cosa servono? A fornire carne destinati al consumo alimentare? In parte, in realtà gli esemplari allevati sono destinati al ‘ripopolamento’ di una specie il cui soprannumero è da tutti invocato come minaccia alle colture, alla sicurezza stradale etc. Senza tralasciare, ovviamente, le conseguenze di una tale pratica in termini di biodiversità: un’immissione esterna di esemplari, infatti, ha comportato l’estinzione della specie peninsulare autoctona, soppiantata da capi ibridati con suini domestici o provenienti dal centro Europa, che hanno generato dei ‘mostri’ genetici.
Si aggiunga, inoltre, che per non ‘perdere’ nessun esemplare cacciabile, durante i lunghi inverni nevosi, i soli in grado di provvedere a una ‘selezione’ naturale dei capi, alcuni cacciatori riforniscono di foraggio gli esemplari denutriti, dimostrando, in tal modo, un indubitale interesse a far sì che la situazione rimanga immutata.
Il quadro è reso problematico, poi, dal fatto che in Italia è pressoché impossibile conoscere l’effettiva consistenza numerica dei cinghiali presenti, a causa di stime locali approssimative e dalla mancanza di una programmazione efficiente ed efficace che coinvolga ampi territori, dal momento che il cinghiale non è stanziale, ma si caratterizza come specie ‘nomade’, capace di spostarsi per lunghi tratti, sconfinando da una provincia all’altra, da una regione all’altra e così via.
Anche i dati recepiti dall’abbattimento dei capi sono ritenuti “incompleti e sottostimati” come si può leggere nel corposo studio (“Banca Dati Ungulati”), pubblicato nel 2009 dall’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale e che dovrebbero essere letto con più attenzione da tutti i soggetti coinvolti, cacciatori, enti locali, associazioni agricole etc.
Nella stessa pubblicazione, reperibile sul sito ufficiale dell’Istituto, si ribadisce il ruolo fondamentale dell’immissione di capi a scopo venatorio nell’incremento della presenza massiccia e critica dei cinghiali su tutto il territorio. Un’immissione realizzata senza considerare l’impatto significativo su un territorio antropizzato come quello italiano (e il nostro) e senza alcuna precauzione in termini di profilassi sanitaria, con il rischio di diffondere alle specie domestiche malattie quali la tubercolosi e la peste suina.
Per non parlare degli squilibri creati all’ecosistema silvestre dalla caccia al cinghiale con i cani, la più diffusa in Oltrepò e praticata nei mesi invernali, quando l’intero habitat faunistico necessita di riposo.
Dunque, per alimentare una pratica venatoria per pochi si rischiano e si provocano danni a molti: basti pensare che l’80% dei fondi a disposizione delle province per danni recati dalla fauna selvatica sono destinati a risarcire quelli causati dai cinghiali. Nel triennio 2006-2008 la Provincia di Pavia ha speso 80.000 euro in risarcimenti, soldi che avrebbero potuto essere investiti per attuare politiche di gestione e controllo davvero efficaci. Capaci di trasformare il patrimonio faunistico da un’imminente minaccia a un’autentica risorsa per il turismo naturalistico.
Che cosa si fa, invece? Negli stessi articoli che recensiscono gli incidenti provocati da ungulati, si ribadisce, in modo del tutto strumentale, la necessità di ampliare, intensificare, prolungare la caccia al cinghiale per contrastarne l’avanzata. Necessità che da alcuni anni si concretizza sempre più. Ma con pochi risultati, come possono constatare tutti. Quindi, se a medio e lungo termine una strategia non funziona, la si dovrebbe cambiare. Come?
Personalmente, preferirei vedere applicate le seguenti soluzioni:

1) Disincentivare la proliferazione degli allevamenti ed effettuare un controllo efficace e capillare sugli allevamenti autorizzati.

2) Individuare, a livello nazionale, una strategia di gestione corretta che consenta l’utilizzo delle popolazioni di cinghiale e di altri ungulati, intese come una risorsa naturale rinnovabile (riorganizzazione e controllo adeguato dell’attività venatoria); basandosi su procedure condivise, scientifiche ed efficaci, sviluppate da esperti e fondate su principi oggettivi super partes. La pensa così anche l’INFS, l’Istituto nazionale per la fauna selvatica che, nel 2003, ha fornito una serie di linee guida finalizzate al problema di gestione e conservazione del cinghiale a livello nazionale. Linee guida, purtroppo, disattese e inascoltate. Forse perché, in realtà, che vi siano cinghiali in numero sempre più consistente e sempre più dannosi garantisce il diritto alla caccia per molti. Una caccia che quest’anno è stata estesa anche a daini e caprioli. Sebbene l’abbiano chiamata “piano di contenimento”…

Roberta Casarini
Delegata provinciale LAC (Lega per l’abolizione della Caccia)
lacpv@abolizionecaccia.it

5 commenti:

  1. LA CAMUZZI,

    come mai questo blog non parla della CAMUZZI?

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  2. Comprendo poco, salvo una sua neppur sottile ironia, cosa abbia a che vedere il Gruppo Camuzzi con i cinghiali. A parte questo, il 21.7.2011 nel post http://unitipergodiasco.blogspot.it/2011/07/privatizzazione-azzeccata.html ho dato notizia della infausta sorte di quel gruppo. Direi che altro non ci interessa, visto che sono usciti ormai da 5 anni dalla compagine sociale delle Terme di Salice SpA. Per fortuna.

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  3. Dell'ironia ci sei andarto vicino, ma siccome adesso si parla del Fallimento, cosa non piacevole principalmente per i dipendenti, il punto è un'altro, era bene che i nostri amministratori abbiano affidato l'Azienda Terme di Salice a chi era già INGUAIATO con milioni di debiti, anche verso lo Stato? Ma allora non si può riavere tutto indietro da Loro e denunciare chi ha fatto questo AFFARE ?

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  4. Non sono a conoscenza delle vicende dell Gruppo Camuzzi in questo periodo. Francamente mi interessa poco (ai fini del territorio cui questo blog maggiormente si riferisce) poichè è uscito dalla compagine azionaria delle Terme nel novembre 2007, due anni e 4 mesi dopo esservi entrato. Alla data della privatizzazione, luglio 2005, il Gruppo non era in pessime acque. Io all'epoca mi detti molto da fare per le caratteristiche estremamente penalizzanti dell'operazione verso il patrimonio pubblico. Feci due esposti alla Procura della Repubblica di Voghera e uno alla Procura della Corte dei Conti della Lombardia. La popolazione, per la maggior parte, se ne è disinteressata. Il gruppo consiliare Progredire Insieme, che rappresentava la continuità dei privatizzatori, nelle elezioni del 2009 ha avuto più di 700 voti. Fabio Riva, nella lista Corbi risulata vincente, nelle stesse elezioni ha avuto oltre 200 preferenze e quindi non ha patito alcun danno dall'essere stato assessore da un anno prima della privatizzazione fino a due anni dopo. La mia lista, l'unica che si era battuta come sopra detto, ne ha avuti solo 287. Credo che questo dica tutto. Lei all'epoca che atteggiamento ha tenuto?

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  5. Io all'epoca ero contrario alla Clinica, non si intravedeva questa crisi e speravo che SALICE riuscisse a starsene fuori, purtroppo anche se è nel triangolo industriale, è stata penalizzata.



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