QUELLA CORRUZIONE SOMMERSA
di Alberto Vannucci 20.04.2012
Secondo l'Eurobarometro l'87 per cento dei cittadini italiani ritiene che la corruzione sia un serio problema. Ma non è semplice misurare il fenomeno. E per questo si ricorre a indici di percezione che, pur con qualche limite, riescono a cogliere i livelli di diffusione della corruzione incontrata dai cittadini nella loro esperienza quotidiana. L'Italia negli ultimi anni ha visto un significativo peggioramento della sua posizione relativa nelle classifiche di questo tipo, a cui non corrisponde un aumento dei processi penali. Insomma, si tratta di crimini impuniti.
Da oltre vent’anni in Italia, dall’avvio delle inchieste di “mani pulite”, la questione della persistenza di sacche dicorruzione sistemica entra e fuoriesce ciclicamente dal discorso pubblico, di norma in corrispondenza con vicende giudiziarie che attirano l’attenzione della pubblica opinione. Fino a oggi le politiche anti-corruzione hanno prodotto risultati insoddisfacenti in termini di rilevanza ed efficacia degli strumenti approntati, peraltro disinnescati da provvedimenti di segno contrario, coi quali sono stati depotenziati i meccanismi di controllo penale. (1) Nel dibattito pubblico è rimasta sottotraccia la stessa questione dell’effettiva consistenza e rilevanza della questione-corruzione.
MISURARE LA CORRUZIONE
Simile in questo ai “crimini senza vittime”, infatti, la corruzione si fonda di regola su un “patto di ferro” tra corrotti e corruttori, dal quale entrambi ricavano benefici – a danno della collettività – e che nessuno dei partecipanti ha interesse a denunciare. Le vicende di corruzione sistemica, in particolare, rivelano una rete di accordi sotterranei tra una pluralità di attori pubblici e privati, entro la quale obbligazioni reciproche e impegni assunti sono regolati da vere e proprie “norme non scritte”, della cui applicazione si fanno carico “garanti” specializzati, diversi a seconda dei centri di spesa interessati (boss politici, alti burocrati, faccendieri, imprenditori, mafiosi, eccetera). (2) Quanto più la corruzione diventa “regola di condotta” e prassi tollerata, tanto più tende a rimanere nell’ombra, non viene svelata, denunciata, esposta al giudizio dell’opinione pubblica, perseguita penalmente. Questo fa sì che l’impiego delle statistiche giudiziarie, di solito utilizzate per segnalare l’allarme connesso a determinati crimini, rivesta una valenza limitata nella quantificazione del fenomeno. Ad esempio, nel corso degli anni Ottanta e fino al 1991, periodo nel quale la corruzione conosceva un considerevole sviluppo sotterraneo, il numero di reati e di persone denunciate restava stazionario, su livelli piuttosto bassi (circa 2-300 casi l’anno), decuplicati di lì a poco sull’onda di “mani pulite”, per poi tornare progressivamente ad assestarsi su valori di poco superiori a quelli pre-1992.
In assenza di indicatori affidabili diventa aleatorio comparare realtà diverse, individuare linee di tendenza, elaborare modelli teorici sui fattori che ne facilitano la diffusione, o sugli strumenti più efficaci per contrastarla. Nella ricerca scientifica si è cercato di ovviare a questi vincoli utilizzando quale principale indicatore della diffusione della corruzione nel settore pubblico il Corruption Perception Index (Cpi) di Transparency International, stilato annualmente, nel 2011 costruito attraverso una media di 17 survey (basate su opinioni di esperti) condotte da 13 organizzazioni internazionali. (3) Nel ranking finale un punteggio di 10 corrisponde alla completa trasparenza, 0 alla massima corruzione. Il Cpi mostra da tempo una situazione preoccupante per l’Italia, che dopo un progressivo peggioramento nel corso dell’ultimo decennio registra tra il 2010 e il 2011 il punteggio più basso di sempre, pari a 3,9, quart’ultima tra i paesi dell’Unione Europea (superata in negativo solo da Romania, Bulgaria e Grecia).
Sui limiti del Cpi, che fondandosi sulle valutazioni di panel di esperti, consulenti, uomini d’affari, imprenditori (sia esteri che nazionali) rischia di rispecchiarne anche idiosincrasie e pregiudizi, si concentra in particolare il rapporto 2011 del Servizio anticorruzione e trasparenza (Saet) del ministero per la Pubblica amministrazione.(4) Da alcuni anni sulla questione corruzione si è però concentrata anche l’attenzione delle istituzioni europee, che hanno tra l’altro avviato un processo di acquisizioni di conoscenze su opinioni e atteggiamenti nei confronti del fenomeno. In particolare, nel novembre 2009 e nel febbraio 2012 sono stati pubblicati due Special Eurobarometer contenenti rilevazioni statistiche sulle percezioni relative alla corruzione dei cittadini dei 27 paesi dell’Unione. (5) Si tratta di informazioni di estremo interesse, poiché permettono di realizzare lungo un arco di tempo sufficientemente ampio un confronto incrociato tra fonti diverse, e in particolare: (a) i pareri dei panel di esperti (misurati dal Cpi di Transparency International); (b) le esperienze concrete e personali di corruzione rilevate tra i cittadini dei diversi paesi (misurate nel 2009 e 2011, con riferimento i dodici mesi precedenti, daEurobarometer).
SITUAZIONE ALLARMANTE
Una visione d’insieme dell’ultimo rapporto di Eurobarometro conferma in prospettiva comparata l’allarme per la situazione italiana: l’87 per cento dei cittadini italiani ritiene la corruzione un serio problema nel proprio paese, in crescita del 4 per cento rispetto a 2 anni prima (la media europea è del 74 per cento); il 95 per degli italiani ritiene che vi sia corruzione nelle proprie istituzioni nazionali (in crescita del 6 per cento rispetto a 2 anni prima), il 92 per cento in quelle regionali e locali (la media europea è, rispettivamente, del 79 e 75 per cento); il 12 per cento degli italiani si è visto chiedere una tangente nei dodici mesi precedenti (la media europea è dell’8 per cento); il 75 per cento degli italiani ritiene che gli sforzi del governo per combattere la corruzione siano stati inefficaci (la media europea è del 68 per cento).
Tra questi risultati appare particolarmente rilevante il dato relativo alle esperienze dirette di tangenti chieste in cambio di un servizio, ossia alla corruzione “vissuta sulla propria pelle” dai cittadini dei 27 paesi dell’Unione Europea. Si osserva infatti che le rilevazioni statistiche sulle “richieste di tangenti” effettuate nel 2009 e nel 2011, messe a confronto con le percezioni degli esperti relative ai medesimi anni indicizzate dal Cpi di Transparency International, presentino livelli di correlazione molto elevata e statisticamente significativa, come mostrano le figure 1 e 2. (6)
MISURARE LA CORRUZIONE
Simile in questo ai “crimini senza vittime”, infatti, la corruzione si fonda di regola su un “patto di ferro” tra corrotti e corruttori, dal quale entrambi ricavano benefici – a danno della collettività – e che nessuno dei partecipanti ha interesse a denunciare. Le vicende di corruzione sistemica, in particolare, rivelano una rete di accordi sotterranei tra una pluralità di attori pubblici e privati, entro la quale obbligazioni reciproche e impegni assunti sono regolati da vere e proprie “norme non scritte”, della cui applicazione si fanno carico “garanti” specializzati, diversi a seconda dei centri di spesa interessati (boss politici, alti burocrati, faccendieri, imprenditori, mafiosi, eccetera). (2) Quanto più la corruzione diventa “regola di condotta” e prassi tollerata, tanto più tende a rimanere nell’ombra, non viene svelata, denunciata, esposta al giudizio dell’opinione pubblica, perseguita penalmente. Questo fa sì che l’impiego delle statistiche giudiziarie, di solito utilizzate per segnalare l’allarme connesso a determinati crimini, rivesta una valenza limitata nella quantificazione del fenomeno. Ad esempio, nel corso degli anni Ottanta e fino al 1991, periodo nel quale la corruzione conosceva un considerevole sviluppo sotterraneo, il numero di reati e di persone denunciate restava stazionario, su livelli piuttosto bassi (circa 2-300 casi l’anno), decuplicati di lì a poco sull’onda di “mani pulite”, per poi tornare progressivamente ad assestarsi su valori di poco superiori a quelli pre-1992.
In assenza di indicatori affidabili diventa aleatorio comparare realtà diverse, individuare linee di tendenza, elaborare modelli teorici sui fattori che ne facilitano la diffusione, o sugli strumenti più efficaci per contrastarla. Nella ricerca scientifica si è cercato di ovviare a questi vincoli utilizzando quale principale indicatore della diffusione della corruzione nel settore pubblico il Corruption Perception Index (Cpi) di Transparency International, stilato annualmente, nel 2011 costruito attraverso una media di 17 survey (basate su opinioni di esperti) condotte da 13 organizzazioni internazionali. (3) Nel ranking finale un punteggio di 10 corrisponde alla completa trasparenza, 0 alla massima corruzione. Il Cpi mostra da tempo una situazione preoccupante per l’Italia, che dopo un progressivo peggioramento nel corso dell’ultimo decennio registra tra il 2010 e il 2011 il punteggio più basso di sempre, pari a 3,9, quart’ultima tra i paesi dell’Unione Europea (superata in negativo solo da Romania, Bulgaria e Grecia).
Sui limiti del Cpi, che fondandosi sulle valutazioni di panel di esperti, consulenti, uomini d’affari, imprenditori (sia esteri che nazionali) rischia di rispecchiarne anche idiosincrasie e pregiudizi, si concentra in particolare il rapporto 2011 del Servizio anticorruzione e trasparenza (Saet) del ministero per la Pubblica amministrazione.(4) Da alcuni anni sulla questione corruzione si è però concentrata anche l’attenzione delle istituzioni europee, che hanno tra l’altro avviato un processo di acquisizioni di conoscenze su opinioni e atteggiamenti nei confronti del fenomeno. In particolare, nel novembre 2009 e nel febbraio 2012 sono stati pubblicati due Special Eurobarometer contenenti rilevazioni statistiche sulle percezioni relative alla corruzione dei cittadini dei 27 paesi dell’Unione. (5) Si tratta di informazioni di estremo interesse, poiché permettono di realizzare lungo un arco di tempo sufficientemente ampio un confronto incrociato tra fonti diverse, e in particolare: (a) i pareri dei panel di esperti (misurati dal Cpi di Transparency International); (b) le esperienze concrete e personali di corruzione rilevate tra i cittadini dei diversi paesi (misurate nel 2009 e 2011, con riferimento i dodici mesi precedenti, daEurobarometer).
SITUAZIONE ALLARMANTE
Una visione d’insieme dell’ultimo rapporto di Eurobarometro conferma in prospettiva comparata l’allarme per la situazione italiana: l’87 per cento dei cittadini italiani ritiene la corruzione un serio problema nel proprio paese, in crescita del 4 per cento rispetto a 2 anni prima (la media europea è del 74 per cento); il 95 per degli italiani ritiene che vi sia corruzione nelle proprie istituzioni nazionali (in crescita del 6 per cento rispetto a 2 anni prima), il 92 per cento in quelle regionali e locali (la media europea è, rispettivamente, del 79 e 75 per cento); il 12 per cento degli italiani si è visto chiedere una tangente nei dodici mesi precedenti (la media europea è dell’8 per cento); il 75 per cento degli italiani ritiene che gli sforzi del governo per combattere la corruzione siano stati inefficaci (la media europea è del 68 per cento).
Tra questi risultati appare particolarmente rilevante il dato relativo alle esperienze dirette di tangenti chieste in cambio di un servizio, ossia alla corruzione “vissuta sulla propria pelle” dai cittadini dei 27 paesi dell’Unione Europea. Si osserva infatti che le rilevazioni statistiche sulle “richieste di tangenti” effettuate nel 2009 e nel 2011, messe a confronto con le percezioni degli esperti relative ai medesimi anni indicizzate dal Cpi di Transparency International, presentino livelli di correlazione molto elevata e statisticamente significativa, come mostrano le figure 1 e 2. (6)
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Del resto, mentre le percezioni dei cittadini valgono a quantificare soprattutto la corruzione spicciola praticata da funzionari di basso profilo e “pesci piccoli” della politica, è plausibile che le opinioni di esperti, uomini d’affari e imprenditori siano plasmate soprattutto dalla grand corruption, quella che investe i vertici politici e amministrativi e chiama in causa i grandi affari (appalti, commesse, urbanistica, concessioni, e così via). I due fenomeni si rivelerebbero dunque strettamente correlati tra di loro, come in un sistema di vasi comunicanti, corroborando la tesi che le radici profonde della corruzione risiedano non soltanto nelle caratteristiche di singole procedure decisionali, ma in fattori di natura culturale e istituzionale comuni ai diversi processi di scelta pubblica.
In conclusione, dal momento che le percezioni misurate dal Cpi si dimostrano un solido indicatore dei livelli di diffusione della corruzione incontrata dai cittadini nella loro esperienza quotidiana, il significativo peggioramento nel punteggio e nella posizione relativa dell’Italia nel ranking di Transparency International – costante da oltre un decennio – dovrebbe essere interpretato come un serio campanello di allarme tanto dalla classe politica che dalla società civile. Nello stesso tempo, il fatto che nel medesimo periodo nessuna variazione di rilievo abbia invece riguardato la “parte emersa” del fenomeno, quella rilevata dalle statistiche giudiziarie, sembra al contrario confermare che queste ultime non forniscono alcuna informazione significativa sulle sue dimensioni nascoste, quelle che maggiormente ci dovrebbero preoccupare. Al contrario, poiché i procedimenti penali avviati sono stabili negli stessi anni in cui sembra crescere la “corruzione sommersa”, questo implica una presumibile crescita della “cifra oscura”, ossia l’ammontare di reati portati a compimento con successo. Questo processo, a sua volta, tende a rafforzare tanto le aspettative pessimistiche dei comuni cittadini che la speranze di impunità dei protagonisti.
In conclusione, dal momento che le percezioni misurate dal Cpi si dimostrano un solido indicatore dei livelli di diffusione della corruzione incontrata dai cittadini nella loro esperienza quotidiana, il significativo peggioramento nel punteggio e nella posizione relativa dell’Italia nel ranking di Transparency International – costante da oltre un decennio – dovrebbe essere interpretato come un serio campanello di allarme tanto dalla classe politica che dalla società civile. Nello stesso tempo, il fatto che nel medesimo periodo nessuna variazione di rilievo abbia invece riguardato la “parte emersa” del fenomeno, quella rilevata dalle statistiche giudiziarie, sembra al contrario confermare che queste ultime non forniscono alcuna informazione significativa sulle sue dimensioni nascoste, quelle che maggiormente ci dovrebbero preoccupare. Al contrario, poiché i procedimenti penali avviati sono stabili negli stessi anni in cui sembra crescere la “corruzione sommersa”, questo implica una presumibile crescita della “cifra oscura”, ossia l’ammontare di reati portati a compimento con successo. Questo processo, a sua volta, tende a rafforzare tanto le aspettative pessimistiche dei comuni cittadini che la speranze di impunità dei protagonisti.
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