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domenica 19 settembre 2010

Pacato e fermo commento di G. Boatti sul fotovoltaico


Giorgio Boatti affronta oggi su La Provincia il tema della (temuta) istallazione dei pannelli fotovoltaici a Montesegale. Un ragionamento pacato, senza partigianerie ideologiche (non è nel suo stile), estremamente corretto e preciso.
Mi permetto di riportarlo per intero perchè mi sembra molto importante come momento di riflessione:

DOMENICA, 19 SETTEMBRE 2010 Pagina 11 DRITTO & ROVESCIO
Il deserto con la splendida luce

GIORGIO BOATTI

Dimenticato per anni il fotovoltaico - vale a dire l’energia prodotta con pannelli solari - adesso sta andando alla grande. Consente di produrre energia in modo alternativo, non attingendo a risorse consumabili quale il petrolio o il metano. E per questo ci sono incentivi che ne fanno un affare, almeno per i primi che si collocheranno in modo significativo sul mercato. E dunque questi impianti stanno arrivando anche da noi, in questa provincia. Ecco che cosa accade.
Chi consulta il SILVIA (Sistema informativo Lombardo per le valutazioni di impatto ambientale) vede che in provincia di Pavia sono allo studio progetti di impianti fotovoltaici, con impatto e connotazioni variegate, a Dorno, a Cervesina, a Castelnovetto, a Zeme, a Costa dei Nobili, a Voghera, a Ottobiano e a Lomello.
E poi c’è una proposta di impianto a Rocca Susella: 13.000 pannelli fotovoltaici che copriranno complessivi 5,5 ettari della fiancata della collina alle spalle della frazione Balestrero. Perchè vale la pena di farne nota a parte? Perché è un caso esemplare. Dimostra che anche le innovazioni più positive vanno prese con giudizio. Valutate nel loro impatto complessivo.
Nel caso concreto si pone il dubbio che il fotovoltaico non sia sempre e ovunque il toccasana, che non garantisca in modo assoluto di non consumare risorse “non consumabili”. I pannelli di Rocca Susella danno voce ad un interrogativo: un territorio pregiato è o non è una risorsa «non consumabile»? Infatti questi pannelli saranno collocati alle spalle del castello medievale di Montesegale che da tempo sta sforzandosi di dare connotazione di alta qualità ambientale e turistica alla splendida valle Ardivestra. Vicino c’è anche la località di Fortunago che, con impegno e cura, è riuscita a essere parte del ristretto gruppo dei «borghi più belli d’Italia».
A questo punto c’è, evidente, un conflitto di vocazioni che investe lo stesso spicchio di territorio. Un conflitto sul quale è importante che prendano posizione le autorità che devono governare l’assetto della nostra provincia - a cominciare dall’Amministrazione Provinciale. Ente che sarebbe bene battesse un colpo.
Ma è necessario anche che i cittadini prendano consapevolezza della questione. Perchè siamo davanti a un caso da manuale su cosa fare, o non fare, in vista del futuro che bussa alla porta.
Produrre energia «pulita» è importante. E se vogliamo accendere la luce, far funzionare computer e frigoriferi, vivere insomma nella modernità, di energia abbiamo bisogno. Ma abbiamo ancora più bisogno che i territori che hanno perseguito con fatica una loro vocazione, una connotazione turistica e ambientale di qualità, non vengano dribblati da chi - arrivando buon ultimo - in nome dell’energia alternativa, ma soprattutto di un lucroso business per chi lo gestisce, fa lo sgambetto a un’idea di sviluppo che sta coinvolgendo intere comunità.
A questo punto sarebbe importante organizzare una conferenza a livello provinciale su «Innovazione e Ambiente»: dovrebbe coinvolgere chi ci amministra, le forze politiche, i tecnici, gli operatori dei settori coinvolti (agricoltura, turismo, nuove tecnologie), le associazioni ambientaliste e i cittadini. Sarebbe un capitolo di partecipazione e consapevolezza che eviterebbe di ripercorrere strade trascorse ed errori passati.
Perché gli occhi vogliono la loro parte, dice un proverbio Però stabilire il confine tra quello che soggettivamente non ci piace e ciò che non si può sopportare, perché «è un pugno nell’occhio» che rompe l’armonia di un territorio e lo penalizza, è cosa complicata.
Ad esempio negli Anni Sessanta tutte le zone viticole furono invase da cantine che le aziende produttrici piantavano esattamente sul crinale più alto delle loro proprietà. Non conoscendo la pubblicità, la comunicazione e il marketing, i nostri «vigneron» segnalavano la loro presenza a colpi di capannoni di immane bruttezza. Una cosa infatti sono i castelli, i campanili, le chiese, che costituiscono il panorama appenninico che si è andato componendo nel corso dei secoli. Altro é l’irruzione di una «modernizzazione» che gira le spalle non solo alla bellezza ma anche alla saggezza.
Quelli che protestavano allora furono zittiti. Volevano forse azzoppare il decollo della nostra viticoltura? Il frutto di quel disastro edilizio adesso costella le nostre colline. Percorrete il fondo strada delle nostre vallate d’Oltrepo e alzate gli occhi: eccoli i capannoni che adesso ci fanno vergognare.
Già, perchè altrove, in territori che come produzione enogastronomica e capacità propositiva di porsi sul mercato turistico hanno parecchio da insegnarci, i capannoni sono stati messi al bando. Si è scoperto che la cantina può essere costruita altrimenti. O altrove. Abbassando il livello delle costruzioni, interrandole in parte, così da non ferire il profilo delle colline. Si è compreso che chi viene in collina non cerca - e compera - solo bottiglie di vino, prodotti gastronomici, pranzi e cene, ospitalità in agriturismi e bed & breakfast.
Chi viene nel nostro Appennino cerca - prima di tutto questo - armonia e bellezza. Come quella che si trova a Montesegale, a Fortunago, nella valle Ardivestra. Azzeriamole e avremo un bel deserto. Splendidamente illuminato da 13.000 pannelli fotovoltaici.
(allegata foto di repertorio non della zona di Montesegale)

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