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venerdì 20 gennaio 2012

Anche questi sono "costi della politica" ....

Un interessante articolo apparso su La Voce su di un argomento che raramente viene toccato. 
Quanto spendono in un anno gli enti pubblici per patrocinare/ sponsorizzare fiere, feste e altri eventi?
Che procedure vengono seguite? Che rendiconti sono presentati a posteriori?
Sono queste domande che nessuno si è mai posto nei periodi di "vacche grasse", ma ora la cosa è diversa.
Taluni enti poi organizzano eventi senza rimorsi sostenendo che non loro hanno speso, ma un altro ente pubblico che materialmente ha finanziato l'iniziativa; dimenticano forse che il denaro proviene sempre e solo dalle tasse e dalle imposte pagate dai cittadini (quelli che le pagano).

SE UN PATROCINIO NON SI NEGA A NESSUNO
di Luigi Oliveri
Dalla sagra strapaesana alle ricerche di mercato più improbabili: comuni, province e Regioni non lesinano denaro in sponsorizzazioni, patrocini e contributi. La normativa prevede la pubblicazione successiva della spesa sostenuta, ma non esiste una rilevazione nazionale del volume delle risorse erogate. E finora i tentativi di limitare le spese di rappresentanza hanno solo creato grandi polveroni. Eppure un totale divieto permetterebbe di risparmiare centinaia di milioni di euro. A quanti punti di pressione fiscale locale in meno potrebbero equivalere?
Negli ultimi mesi, di tagli alle spese si è parlato molto, ma fatto ben poco. La manovra-Monti ha operato prevalentemente sul lato delle entrate. Scelte connesse a riduzioni di spese improduttive se ne sono viste ben poche. Anche perché occorre, ovviamente, autonomia di giudizio e coscienza nel riconoscere come tali quelle dalle quali, molto spesso, derivano consensi e voti. E delle quali la politica non riesce a fare a meno. Nonostante la presenza di un governo “tecnico”.

IL FLUORILEGIO DEI CONTRIBUTI

Una recente inchiesta dell'Espresso, intitolata “Cento caste, uno spreco”, riporta un florilegio di decine e decine di esempi di contributi erogati da Regioni, province e comuni per le finalità più criticabili. (1) Soprattutto in tempi di grave crisi. L’articolo cita situazioni che agli operatori degli enti locali sono, purtroppo, ben note: dal contributo per la sagra strapaesana, all’erogazione finanziaria per ricerche di mercato o iniziative di comunicazione, dal sostegno al raduno, al finanziamento di eventi culturali improbabili, fino ai contributi a manifestazioni cittadine o da strapaese con bancarelle espositive e di vendita.
L’entità dei contributi è la più varia: dalle poche alle centinaia di migliaia di euro, spese senza alcun effettivo controllo non tanto del processo di spesa, quanto dell’utilità della stessa.
Unico “baluardo” per controllare questo fiume di denaro che gli enti territoriali continuano a spendere in lungo e in largo sarebbe l’articolo 12 della legge 241/1990, norma annoverabile tra le più inefficaci e inutili mai emanate dal legislatore, secondo la quale occorre pubblicare in via preventiva i criteri e le modalità per erogare i sussidi pubblici. Tuttavia, spessissimo tali criteri non risultano esistere o si limitano ad attribuire agli organi politici la piena discrezionalità nello scegliere se, a chi e per quale somma erogare i contributi: il che equivale all’assenza effettiva di qualsiasi criterio.
Nonostante la normativa preveda la pubblicazione successiva della spesa complessivamente sostenuta, non risulta esistere una rilevazione nazionale del volume delle risorse erogate per contributi. Insomma, nessuno è in grado di stabilire quanto gli enti territoriali (ma anche lo Stato) spendano in un anno a questo titolo.
In merito, legislatore e Corte dei conti hanno dimostrato di avere le idee estremamente confuse. L’articolo 6, commi 8 e 9, del decreto legge 78/2010, convertito in legge 122/2011, ha provato a mettere il naso sulla questione: la spesa per “relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza” è limitata al 20 per cento di quella sostenuta nell'anno 2009 per le medesime finalità e si vieta del tutto la spesa per sponsorizzazioni.
La norma è servita solo a creare un immenso polverone. Le sezioni regionali della Corte dei conti hanno dimostrato di avere concezioni diverse e inconciliabili del concetto di sponsorizzazione e di spese per relazioni pubbliche, creando con i loro pareri un inestricabile reticolo interpretativo che, alla fine, consente di effettuare in ogni caso le spese per contributi, visto che sostanzialmente per “sponsorizzazioni” pare debba intendersi il vero e proprio contratto privatistico, col quale, nei fatti, mai si regolano le erogazioni a fini di contributi.
Sfugge del tutto, dunque, un controllo generale sull’efficacia della norma che avrebbe voluto tagliare dell’80 per cento la spesa.
È possibile provare a stimare molto all’ingrosso il volume di spesa come emerge dalla seguente semplice tabella:

Anche rimanendo estremamente prudenti sulla media delle spese per contributi, si arriva facilmente a superare il miliardo di euro, la gran parte dei quali ricadente sul sistema degli enti locali e, in particolare, dei comuni. Probabilmente, la spesa globale per contributi relativi a iniziative come quelle esemplificare da L’Espresso è anche significativamente più ampia.

LE TASSE DEI COMUNI

Alcune considerazioni, allora, si impongono. Nel rapporto costi-benefici, occorrerebbe chiedersi quanto negativamente incida sulla comunità l’incremento di tasse regressive, che cioè colpiscono di più i redditi più bassi, come Iva e accise sulla benzina, rispetto all’eventuale diminuzione o eliminazione della spesa per contributi tipo sagra della pizza.
Sarebbe da tenere in altissima considerazione la possibilità di risparmiare centinaia di milioni di euro, se non miliardi, rinunciando del tutto anche se per un breve periodo, diciamo tre anni, a spese di questo genere, modificando le disposizioni dell’articolo 6, commi 8 e 9, della legge 122/2010 spiegando chiaramente il totale divieto di contributi e patrocini, oltre che di sponsorizzazioni, salvo che per eventi di rilevanza storica, culturale e internazionale paragonabili al Palio di Siena. Gli enti locali dovrebbero essere contestualmente obbligati a tracciare il risparmio forzoso di queste spese, investendo la media di quanto dedicato nei tre anni precedenti a tale titolo al rimborso dei prestiti accesi, così da ridurre effettivamente l’indebitamento. Obiettivo che dovrebbe essere primario e fondamentale.
I sindaci dei comuni saranno a breve chiamati a riattivarsi per introitare la nuova Imu anche sulla prima casa, con costi molto più alti per effetto della rivalutazione delle rendite catastali. Probabilmente, per ottenere effettivi benefici per le casse comunali dovranno alzare il livello medio di imposizione dello 0,4 per cento. Sarebbe opportuno chiedersi, in vista di manovre tributarie di questo genere, quanti punti di pressione fiscale locale potrebbero essere risparmiati col contenimento di costi per contributi di discutibilissima utilità che, pure, si continuano a spendere a profusione.

(1) L’Espresso n. 52/2011, pagina 38.


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